Navighi e ti sembra che gli annunci siano fatti ad hoc per te? Retargeting

Retargeting - instrada i tuoi acquisti

RETARGETING – instrada i tuoi acquisti

Ieri sera, durante la nuova puntata di “Fratelli di Crozza” (del 12/05/17), nella gag dell’ INC.COOL.8 , Crozza ha svelato al grande pubblico come funziona una tecnica avanzata di Marketing detta Retargeting. Vediamo di capire meglio di cosa si tratta e come funziona.

Il Remarketing, noto anche come Retargeting, è una forma di pubblicità online che si rivolge agli utenti sulla base delle loro precedenti azioni su Internet, in situazioni in cui tali azioni non si traducono in vendita o conversione.
Questa forma di marketing comportamentale e’ molto interessante per le aziende che c’investono soldi perche’ li aiuta a mantenere il loro marchio comunque visibile agli utenti anche dopo che essi hanno lasciato il sito web.

Per la maggior parte dei siti, solo il 2% del traffico web si tramuta in vendita di prodotti sin dalla prima visita, mentre il Retargeting è uno strumento progettato per aiutare le aziende a raggiungere quel 98%  degli utenti che non hanno effettuato subito una delle azioni desiderate dal sito web, quali (acquisto, contatto, iscrizione etc.).

Come funziona il Retargeting?
Il Retargeting è una tecnologia basata sui cookie, che utilizza un semplice codice  Javascript anonimo per “seguire” il pubblico su tutto il web.

Sei un’azienda ? Ecco come funziona:
devi inserire un piccolo pezzo di codice nel tuo sito web (questo codice è a volte indicato come “pixel”), che viene generato quando si attiva una campagna. Il codice, o pixel, è impercettibile per i visitatori del sito e non influisce sulle prestazioni del sito. Ogni volta che un nuovo visitatore accede al sito, il codice rilascia al browser (Internet Explorer, Firefox, Chrome, Safari, Opera etc.) un cookie anonimo.
Più tardi, quando i visitatori tracciati da questi cookies, navigano sul web, il cookie permette al tuo fornitore di retargeting (ad esempio Google AdWords) di pubblicare annunci, assicurando che questi annunci vengano mostrati solo a persone che hanno già visitato il tuo sito.

Il Retargeting è molto efficace perché concentra i tuoi investimenti pubblicitari, il ROI (Return On Investment) su persone che hanno già familiarità con il tuo marchio e di recente hanno dimostrato interesse. Ecco perché la maggior parte dei marketer che lo utilizzano vedono un ROI più elevato rispetto alle altre campagne sui canali digitali.

Chi fornisce servizi di Retargeting?
E’ possibile attivare campagne di Retargeting sulla Rete Display di Google (un gruppo di oltre un milione di siti web che collaborano con Google per pubblicare annunci pertinenti) attraverso Google AdWords.

E’ anche possibile attivare il Retargeting su Facebook, in modo tale da mostrare i tuoi annunci sul popolare social network a chi ha visitato il tuo sito. Per ora non è possibile attivarlo direttamente dalla gestione delle inserzioni di Facebook, per attivarlo è necessario passare attraverso un fornitore terzo, come AdRoll o Perfect Audience.

Come fare campagne di retargeting di successo?
Il Retargeting è un potente strumento di branding e ottimizzazione delle conversioni,
ma funziona meglio in combinazione con il marketing inbound e outbound o di generazione della domanda. Ad esempio, strategie di marketing che coinvolgono contenuti, SEO, AdWords e Social Media Marketing (come gli annunci pubblicitari su Facebook, Linkedin, etc.) sono l’ideale per acquisire traffico, ma non aiutano l’ottimizzazione della conversione. Al contrario, il retargeting può contribuire ad aumentare le conversioni, ma non può guidare la gente al tuo sito. La migliore possibilità di successo sta perciò nell’utilizzare uno o più strumenti per indirizzare il traffico al tuo sito, e il retargeting per ottenere il massimo da quel traffico.

Docker i Container ed i Microservices

Docker ed i Microservices

Docker ed i Microservices

Su questo portale abbiamo gia piu’ volte scritto e descritto la tecnologia che sta dietro al progetto Docker, sicuramente una delle nuove scoperte informatiche degli ultimi anni, a livello dell’uscita della Virtualizzazione; ma nonostante tutto, non sempre e’ facile capire in poche righe concetti nuovi non sempre semplici da comprendere, quindi eccovi un nuovo articolo, che fara’ parte di una piccola serie di episodi, in cui cercheremo di fare ulteriormente luce su cos’e’ e come funziona questo fantastico progetto.

Dagli script PHP ai microservice
Alla fine degli anni ’90 i siti erano per lo più ancora statici, con qualche script CGI , o altre soluzioni oggi considerate poco eleganti. Poi arrivarono ASP JAVA e PHP. Da li in avanti un progetto Web era prettamente fondato, ad esempio, su file PHP, CSS e immagini; in queste soluzioni tecnologiche era sufficiente copiare tutti questi file su uno spazio hosting e al più modificare qualche file di configurazione, per ricreare un nuovo ambiente web e ricominciare su di un nuovo sito.

Venti anni dopo gli scenari sono drasticamente diversi, le architetture SOA hanno preso piede, si è iniziato a parlare di microservice e tutto è diventato più complesso. Un’applicazione web, soprattutto in ambito enterprise, non è più la directory di cui parlavamo prima, ma un’ insieme di componenti autonomi, ognuno col suo ciclo di vita indipendente, rilasciati su macchine diverse e a ritmi sempre crescenti.

Una complessità così grande non può piu’ essere amministrata con il vecchio copia e incolla, diventa cosi’ necessario uno strumento affidabile che consenta di manipolare o spostare intere applicazioni limitando errori umani, checklist lunghissime da controllare e tutti i passaggi snervanti e carichi di rischi necessari per il deployment.

I container
Cosi’ come nell’industria dei trasporti nacque l’esigenza di una soluzione unica intercambiabile, vennero cosi creati i container: contenitori multiuso, realizzati in formati standard che possono essere passati con facilità da un camion a una nave, poi magari su un treno merci e così via.

Anche nel campo informatico abbiamo bisogno di qualcosa che “contenga” la nostra applicazione, che ci consenta di manovrarla con facilità senza sapere nulla, o quasi, riguardo il suo contenuto. In pratica, abbiamo bisogno anche noi del nostro container!

Docker
L’intuizione del team di Docker è stata quella di prendere il concetto di container e costruirvi attorno un’ ecosistema che ne semplificasse l’impiego. Di questo ecosistema fanno parte una serie di tool: Docker engine, Docker Toolbox, Swarm, Kitematic e tant’ altro ancora per rendere i container qualcosa di accessibile anche a chiunque, sfruttando anche il fatto che la community di sviluppatori che utilizza Docker è davvero molto vasta. Ad esempio, Docker Hub è un repository di container pubblici pronti per l’uso, mentre il codice sorgente del Docker engine è liberamente disponibile su GitHub e vanta quasi 1500 contributor.

Container VS Virtual Machine
Apparentemente i container e le virtual machine sembrano due concetti molto simili ma, sebbene queste due soluzioni abbiano delle caratteristiche in comune, si tratta di tecnologie profondamente diverse tra loro, così come diverso è anche il modo in cui dobbiamo iniziare a pensare all’architettura delle nostre applicazioni. Possiamo creare un container con la nostra applicazione monolitica all’interno, ma così non sfrutteremmo a pieno la forza dei container e quindi di Docker.

Una possibile architettura software adatta per un’infrastruttura a container è la classica architettura a microservizi. L’idea, in pratica, è quella di scomporre l’applicazione in tante piccole componenti ognuna col suo compito specifico ma capaci di scambiarsi messaggi e di cooperare tra loro, cio’ che e’ alla base dei sistemi SOA. Il deploy di tali componenti avverrà poi effettuato singolarmente, come tanti container.

Uno scenario come quello ipotizzato è assolutamente poco pratico con una macchina virtuale, in quanto ogni nuova macchina virtuale istanziata richiederebbe un bel dispendio di energia per la macchina host. I container, al contrario, sono molto leggeri, poiché effettuano una virtualizzazione completamente diversa da quella praticata dalle macchine virtuali.
Nelle macchine virtuali, lo strumento detto hypervisor si preoccupa di riservare (staticamente o dinamicamente) un certo quantitativo di risorse dal sistema operativo host da dedicare poi ad uno o più sistemi operativi, detti guest o ospiti, inoltre ogni sistema operativo guest sarà completamente isolato dal sistema operativo host. Questo meccanismo è molto dispendioso in termini di risorse, per cui l’idea di associare un micro-servizio ad una macchina virtuale è del tutto irrealizzabile.

I container, d’altro canto, apportano un contributo completamente diverso alla questione, l’isolamento è molto più blando e tutti i container in esecuzione condividono lo stesso kernel del sistema operativo sottostante, host. Scompare completamente l’overhead dell’hypervisor, e un singolo host può arrivare a ospitare centinaia di container.

Docker VS VirtualMachine

Docker VS VirtualMachine

Nel prossimo articolo rivedremo come installare Docker tramite i Docker-ToolBox, e come interagire con i container.
Alla prossima

Nuovo Raspberry Pi Zero a 11$ con Wifi e Bluetooth

Raspberry Pi Zero W

Raspberry Pi Zero W

Lo scorso mese di Febbraio, in occasione del quinto compleanno del progetto Raspberry Pi il team del progetto ha deciso di presentare al suo pubblico un nuovo membro della famiglia, il Raspberry Pi Zero W.

Come forse è intuibile dal nome, si tratta di una variante dell’originale Raspberry Pi Zero alla quale è stato aggiunto un modulo WIFI ed il Bluetooth.

Il team ha dunque creato quella che possiamo considerare a tutti gli effetti come un’evoluzione naturale del Raspberry Pi Zero, che sin dal suo lancio nel corso del 2015, ha rappresentato l’alternativa low-cost perfetta per coloro che volevano sviluppare progetti di domotica o di IoT. Tuttavia l’evoluzione del mercato ha richiesto l’inclusione di un modulo di connettività wireless che ormai rappresenta una feature essenziale per molti sviluppatori, malgrado esso incrementi leggermente i consumi energetici.

Con il Raspberry Pi Zero W è possibile sviluppare piccoli box di retrogaming che possono essere aggiornati tramite WIFI e controllati con un device Bluetooth. Nello stesso modo è possibile collegare Raspberry Pi Zero W ad un termostato per monitorare i consumi e controllare il riscaldamento da un altro edificio. Indipendentemente dalla natura del progetto a cui si sta lavorando, la connessione wireless è quindi diventata una funzionalità chiave.

Raspberry Pi Zero W utilizza il medesimo chip wireless (nello specifico il Cypress CYW43438) del Raspberry Pi 3 Model B, cosi da offrire il supporto al WIFI 802.11n e al Bluetooth 4.0. Il team ha inoltre collaborato con Kinneir Dufort e T-Zero in modo da offrire già al momento del lancio dei case originali per la nuova arrivata.

Per questo nuovo lancio e’ stata anche pianificata al meglio la distribuzione e sono stati aggiunti nuovi reseller online in modo da evitare di terminare le scorte in magazzino come successe nel 2015 per il lancio del Raspberry Pi Zero.
Il prezzo del Raspberry Pi Zero W è di 11 euro (escluse le spese di spedizione o l’acquisto di uno dei box) e in Italia è già possibile ordinarlo tramite lo store Kubii.

Come vedere tutto quello che hai cercato su Google

Google My Activity

Welcome to Google My Activity

Noi magari no ma Google ha una memoria davvero di ferro, infatti si ricorda tutto, ma proprio tutto quello che avete mai cercato mentre stavate usando il vostro account Google. Infatti, ogni ricerca fatta su Google lascia una traccia, così come rimane memoria dei luoghi che cerchiamo su Maps o dei video che guardiamo su YouTube.

Da qualche tempo però è possibile visualizzare e (volendo) cancellare tutte le attività svolte sul motore di ricerca e sui siti di sua proprietà (come ad esempio YouTube) attraverso My Activity, un portale costruito come la timeline di un social network in cui ritrovare tutto quello che è stato fatto attraverso il proprio account.

L’idea nasce per dare agli utenti la possibilità di conoscere quali dati vengono memorizzati da Big G e di poter gestire autonomamente la privacy della propria vita virtuale.

Pero’ la cosa potrebbe risultare imbarazzante se qualcuno vi rubasse l’account o se lasciaste incustodito il vostro computer o altro dispositivo digitale su cui usate il vostro account Google. L’imbarazzo potrebbe capitare a tutti, sia perché a Google oramai chiediamo qualunque cosa, senza pudori, sia perché una ricerca innocente potrebbe comunque causare equivoci.

Per consultare la vostra cronologia delle ricerche (che non è pubblica ma è accessibile solo a chi sa la password del vostro account Google) potete arrivarci collegandovi a history.google.com/history, che vi dirottera’ a myactivity.google.com/myactivity. Qui scoprirete un’ universo di dettagli cronologici non solo sulle vostre ricerche, ma anche sulle vostre attività su computer e telefonini associati al vostro account Google, comprese le app che avete usato e gli orari nei quali le avete usate.
Se avete usato un dispositivo mobile provvisto di geo-localizzazione abilitata, ci sara’ anche l’indicazione di dove eravate quando avete fatto la ricerca. Potete anche esplorare la cronologia usando un filtro per data, scegliendo per esempio, e poi selezionando, una data massima e una minima.

Se avete un account Google da molti anni, andare a sfogliare le informazioni risalenti a molto tempo fa richiedera’ un bel po’ di clic sul calendario del filtro, oppure per selezionare una data specifica si può usare l’URL seguente:

https://myactivity.google.com/myactivity?utm_campaign=continue&authuser=0&max=numero

dove numero è una sequenza di 16 cifre di cui sembrano essere significative solo le prime cinque; qualunque valore immesso nelle cifre successive non cambia la data.

Cosa colleziona Google su di noi?
Tre tipologie principali di dati. La prima riguarda le nostre attività: ricerche, siti web visitati, video guardati, annunci pubblicitari visualizzati, posizione su GoogleMaps e dati relativi a cookie e indirizzo Ip. Le seconde sono definite da Google “creazioni”, ovvero ciò che realizziamo utilizzando i suoi servizi: email inviate, contatti aggiunti, foto e video caricati, documenti e presentazioni ecc. E, in ultimo, gli “elementi personali” come nome, indirizzo email e password, data di nascita e le altre caratteristiche personali che ci contraddistinguono. Tra queste My Activity si focalizza principalmente sulla prima. E se è vero che basta impostare la navigazione anonima da browser per evitare che le aziende registrino le nostre “impronte digitali”, è altrettanto vero che impostando il profilo Google correttamente è possibile accedere da qualunque Pc o app senza più preoccupazioni.

Se volete eliminare l’intera cronologia, usate questo link: myactivity.google.com/delete-activity. Alla voce Elimina per data, scegliete Sempre e poi cliccate su Elimina: avrete un’ultima occasione per decidere se procedere con l’eliminazione o annullarla. Se cliccate di nuovo su Elimina, la cancellazione della vostra cronologia sarà definitiva e irrevocabile.

Per scaricare una copia completa della vostra cronologia di ricerca (magari prima di eliminarla dalla memoria di Google), potete andare a myactivity.google.com/more-activity e cliccare su Crea archivio nella sezione Scarica le ricerche precedenti: riceverete una mail che vi avviserà quando la cronologia sarà pronta da scaricare.

Per impedire che Google accumuli di nuovo queste informazioni sulle vostre attività, potete andare a myaccount.google.com/activitycontrols e disattivare Attività web e app.

Whatsapp – invia immagini nascoste

WhatsAppTipps & Tricks

WhatsAppTipps & Tricks

In uno degli ultimi articoli abbiamo affrontato il tema della Steganografia, che ci permette di nascondere documenti importanti dentro ad immagini cosi da celarne la presenza in bella vista, ma potremmo anche usare un’opzione diversa, magari questa volta, per divertirci un pochino; ad esempio ti piacerebbe fare uno scherzo e nascondere un’ immagine dentro un’altra per poi inviarla tramite Whatsapp? Se la tua risposta e’ Sì allora continua a leggere questo articolo.
Pochi sanno che oggi Whatsapp è ricca di Tips & Tricks molto utili e veramente interessanti; tra le tante, vi è sicuramente quella di essere in grado di nascondere un’ immagine all’interno di un’altra per far sì che quando un amico clicca sull’immagine in evidenza gli apparirà l’immagine nascosta.

Questo fantastico trucchetto è applicabile ad ogni tipologia di immagine/foto ed è consentito grazie a due ottime applicazioni gratuite per iOS e Android. Basteranno pochi e facilissimi passaggi:

Requisiti:

Procedimento:

  • Scaricare l’app sopra proposta e installarla sul device
  • Aprire l’applicazione e seguire l’interfaccia intuitiva per nascondere l’immagine all’interno di un’altra
  • Selezionare “Insert your true image” per scegliere l’immagine che volete far vedere alla “vittima” dello scherzo
  • Selezionare “Insert your fake image” per scegliere l’immagine che volete nascondere all’interno della prima
  • Selezionare “Do magic” per nascondere l’immagine “falsa” dentro quella “vera”, combinando così in un’unica foto le immagini selezionate; tutto fatto!

Adesso potrai inviare l’immagine creata ad hoc ai tuoi amici per compiere divertentissimi scherzi, o altro !!!

Se questa prima opzione non vi e’ bastata vi proponiamo un’altro tool/software il cui nome e’:

Fhumb
Cos’è un Fhumb? E’ anch’esso un tool che vi permettera’ d’ inviare foto tramite WhatsApp, permettendovi di “nascondere” una foto dentro un’altra. Vediamo come funziona questa applicazione.

FhumbApp vi permette di scegliere due immagini: una “finta” e una “vera”. Quando le invierete tramite WhatsApp i vostri amici visualizzeranno una miniatura dell’immagine FINTA. Quando i vostri amici cliccheranno su “mostra” per visualizzare l’immagine a schermo intero l’immagine cambierà.. mostrando l’immagine VERA del vostro scherzo.

Potrete utilizzare FhumbApp in modo molto originale e creativo, ad esempio:

  • Per inviare un messaggio d’amore o di auguri veramente originali
  • Per inviare una foto sexy che invece si trasforma in qualcos’altro e viceversa…
  • Per inviare una foto attesa dal vostro amico che invece si trasformerà in una cosa che non sopporta
  • Per inviare dei messaggi “speciali”
  • Per fare scherzi particolari

Lasciatevi ispirare dagli esempi che troverete in FhumbApp già pronti per voi e completamente personalizzabili. FhumbApp è in continua evoluzione. Troverete più di venti fhumb originali già pronte per essere inviate ai vostri amici. Scegliete le vostre immagini da inviare utilizzando la vostra galleria fotografica o scattane di nuove con la fotocamera. Memorizzate le vostre fhumb migliori e inviatele quando volete e quante volte volete.
Al primo avvio verrà richiesta la registrazione inserendo il proprio numero di telefono. FhumbApp vuole tutelare il più possibile la privacy dell’utente: l’attivazione del servizio è necessaria per assicurare che le Fhumb create da FhumbApp siano inviate al vostro dispositivo. Una volta ricevute, potrete inviarle a chi volete.

 

Buon divertimento