Le novita’ di Debian 8

Debian 8 Jessie

Debian 8 Jessie

Il 25 aprile 2015 è stato annunciato il rilascio di Debian 8 (alias Jessie), che e’ l’ultima versione di uno dei più noti ed apprezzati sistemi operativi basati su Linux. Questo rilascio, atteso da moltissimi utenti e da altrettante aziende, porta con sè alcune novità significative, frutto di un lavoro di sviluppo durato circa due anni, e culminato in un sistema operativo che sarà supportato fino al 2020.

In questo articolo vedremo le principali novità introdotte su Debian 8, di cui è possibile effettuare il download direttamente dal sito ufficiale del progetto.

Una distribuzione universale
Debian, ad oggi vanta una vasta gamma di pacchetti software (circa 43 mila), che consentono a chiunque di personalizzarla a proprio piacimento, in base al tipo di applicazione per cui questo sistema sarà utilizzato: dai server alle workstation, passando per il cloud, i mainframe o le board che implentano l’Internet of Things.

L’idea della distribuzione universale, adatta a tanti contesti, ha spinto negli anni la comunità open source a creare un gran numero di derivate (ed il caso più noto risponde al nome di Ubuntu). Il fatto che molti sistemi Linux si basino su Debian aumenta quindi l’importanza di ogni aggiornamento apportato a questa distribuzione in ogni rilascio, dal momento che ciò si ripercuote su tutte le sue derivate (ufficiali e non).

Il passaggio a systemd
La novità più significativa, che ha creato molti dibattiti accesi, introdotta con Debian 8, riguarda il passaggio definitivo a systemd quale sistema di init principale, sebbene sia possibile utilizzare sysvinit come alternativa. Tale scelta trova le sue motivazioni nella riduzione dei tempi di avvio ed arresto del sistema, sebbene non tutti gli utenti sembrano convinti di ciò. Inoltre, systemd non si occupa solo della fase di boot: in quanto gestore di sistema, esso incorpora anche la gestione di diverse altre funzioni (alimentazione, dispositivi, login, eccetera), con conseguenze che potrebbero comportare, ad esempio, la necessità di riavviare il sistema in caso di aggiornamento. Un problema significativo per una distribuzione server, dovuto proprio a systemd. Il problema piu’ grande sorge per via del fatto che oggettivamente, l’attuale sistema usato, SysVInit, è oggettivamente un sistema antiquato, con un elenco di noti difetti, il principale dei quali è sicuramente la grande lentezza derivante dall’approccio seriale all’avvio dei servizi. L’idea di sostituirlo con un prodotto più moderno e meglio ingegnerizzato è, quindi, tutt’altro che sbagliata.

Il problema reale è che systemd sta andando ben oltre questo encomiabile tentativo, ma sta fagocitando al suo interno tutta una serie di servizi che con la gestione dei processi e la creazione dello ‘spazio utente’ poco hanno a che fare. Approccio, questo, che viola radicalmente le logiche della filosofia Unix, che sono alla base non solo dei Linux che usiamo oggi, ma in larga parte di quella che è l’informatica moderna.

Va detto, però, che il passaggio a systemd era già in atto da tempo, e non soltanto sulle distribuzioni basate su Debian: anche Red Hat, Fedora e SUSE (per citare alcune grandi distribuzioni Linux) sono già passate a questo nuovo gestore.

Desktop e applicazioni
Dal punto di vista dell’interfaccia utente, il grande grado di personalizzazione offerto da Debian si traduce nella possibilità di scegliere il proprio desktop environment preferito tra un gran numero di possibilità. L’ultimo rilascio è infatti compatibile con GNOME 3.14, KDE Plasma 4.11.13, Xfce 4.10, MATE 1.8 e Cinnamon 2.2.16.

Ai sopra citati desktop environment si aggiungono anche diverse applicazioni, tra cui Iceweasel 31.6, GIMP 2.8.14 e LibreOffice 4.3.3 per la sfera desktop, Apache 2.4.10, Tomcat 7.0.56 e 8.0.14, MariaDB 10.0.16 e MySQL 5.5.42 per quella server, nonchè OpenJDK 7u75, PHP 5.6.7 e Python 2.7.9 e 3.4.2 per gli sviluppatori.

Altre novità
Per concludere ricordiamo che Debian 8 è basato sul kernel Linux 3.16.7, che garantisce la compatibilità con le più recenti tecnologie disponibili. È altresì interessante notare che, con il nuovo rilascio, viene garantito il supporto a ben dieci architetture diverse, tra cui x86, PowerPC, MIPS, ARM e diverse altre.

 

#DebianottoJessie

Docker – cosi’ cambia la virtualizzazione

docker_logoPREMESSA

Docker, inizialmente sviluppato per la piattaforma PaaS (Platform as a Service) di dotCloud, e’ oggi disponibile su Red Hat Fedora e sulla soluzione enterprise OpenShift. Grazie a questa tecnologia, la virtualizzazione passerà al livello applicativo, impacchettando quanto necessario per eseguire le applicazioni su differenti tipologie d’infrastrutture. Ecco quindi come si estendera’ il concetto del Linux Containers LXC , di cui abbiamo trattato in un prededente articolo (vedi link LXC).Docker è il nome di un nuovo ed impotante esempio di progetto, e di start-up, che ha stupito il mondo dell’open source ed ha attirato l’interesse finanziario, e non solo, di grandi gruppi del settore come Red Hat, e non solo.

Per chi non lo conoscesse, Docker è un progetto che automatizza il deployment delle applicazioni fra differenti piattaforme Linux based. L’obiettivo della piattaforma è quello di consentire la distribuzione e l’esecuzione agevole di un app su differenti tipologie di macchine, dotate di differenti sistemi operativi Linux, dai server virtuali, ai cloud-server presenti fra le nuvole private e pubbliche, fino ai bare-metal server, e fin’anche alle macchine fisiche.

Docker è stato inizialmente sviluppato per DotCloud la startup proprietaria di un’infrastruttura PaaS (Platform as a Service) multilingua.

Docker: ecco come funziona

Il funzionamento di base di Docker è alquanto semplice: il tool è capace di impacchettare un’applicazione e le sue dipendenze in un contenitore virtuale che può essere mandato in esecuzione su qualsiasi versione di Linux.Il risultato di questo processo è una maggiore flessibilità e portabilità delle applicazioni e l’opportunità di eseguirle ovunque senza alcuna problematica, dal proprio laptop, ai cloud server privati e pubblici, ai server virtuali fino ai server fisici.

Dockers non effettua la portabilità delle macchine virtuali o dei sistemi operativi, ma rende portabile il codice con cui l’applicazione è scritta, permettendo così una maggiore mobilità fra le macchine virtuali, anche nelle infrastrutture di cloud computing.

Dockers estende un formato comune di package già presente in Linux e noto come Linux Containers o LXC e Dockers per l’appunto utilizza il formato LXC, e le funzionalità kernel di Linux stesso, mentre lascia all’infrastruttura sottostante il compito di provvedere alle funzionalità del sistema operativo.

Docker sembra sposarsi perfettamente con OpenShift, con cui condivide alcuni aspetti tecnologici e architetturali fondamentali, come i namespace del kernel Linux e la gestione delle risorse tramite cGroups. Lo stesso Openshift, infatti, è costruito su Red Hat Enterprise Linux a già offre un sistema di “cartridge” basato sul formato LXC attraverso l’utilizzo delle Red Hat Enterprise Gears, che sara’ in grado di aumentarne l’usabilità e portabilità.

Il progetto Docker sta riscuotendo un alto livello d’ interesse anche fra i colossi del Web e dell’IT a tal punto che aziende del calibro di Microsoft, Red Hat (gia citata), IBM, Mesosphere, CoreOS, SaltStack e Google hanno iniziato a collaborare su un progetto open source pensato a Mountain View e conosciuto con il nome in codice Kubernets.

In pratica, Google e gli altri attori citati vogliono agevolare la gestione e l’uso dei contenitori Docker e Mountain View è fra le prime a sfruttare in modo massivo la tecnologia pensata da Docker all’interno dei suoi data center.

Insomma, per concludere, grazie ai signori di Docker passeremo presto ad un nuovo concetto di virtualizzazione, tutto ancora da scoprire, ma a vedere i nomi delle aziende che vogliono scommeterci , non resta che iniziare a prepararsi.

Bye